Comune di Cotignola Museo Civico Luigi Varoli
Con la collaborazione e il sostegno della Proloco

Sabato 25 marzo alle 18 doppia inaugurazione al Museo Varoli con la presentazione al pubblico della donazione Savini e l’apertura di un nuovo allestimento che comprende opere di artisti riconducibili a quella sorta di cenacolo e cuore pulsante per l’arte della bassa Romagna che Luigi Varoli seppe creare intorno a sè, nella sua casa e studio, a Cotignola nel primo Novecento.

Inaugurazione sabato 25 marzo 2017, ore 18
Palazzo Sforza, corso Sforza 21 Cotignola RA
Inaugurazione e cerimonia di consegna ufficiale, in presenza del Sindaco, da parte della famiglia Savini di un corpo di opere realizzate da Giovanni e Guglielmo Savini e donate al Museo Civico Luigi Varoli di Cotignola.

Per l’occasione sarà inaugurata al piano terra di Palazzo Sforza una piccola selezione delle opere, entrate a far parte delle raccolte museali, e che rimarrà allestita e visibile fino alla permanenza degli uffici comunali trasferiti al piano terra del museo in via temporanea.

La donazione presentata consiste circa di quaranta pezzi, suddivisi in dieci dipinti di cui principalmente ritratti, due disegni, ventitrè sculture tra pietra, terracotta, ceramica e legno raffiguranti volti, autoritratti, ritratti del maestro cotignolese e piccole teste, cinque pannelli ceramici e una serie di piatti, oltre ad alcune fotografie che ritraggono Luigi Varoli.

La varietà di materiali e le tecniche esecutive di questo gruppo di opere, così come i soggetti raffigurati, ribadiscono ancora una volta il forte e duraturo legame con il maestro cotignolese, l’importanza della sua lezione e anche il grande affetto nei suoi confronti da parte di Giovanni Savini, allievo trasferitosi a Roma nel 1936.

Parallelamente a questo allestimento, al primo piano di Palazzo Sforza, all’ingresso della sezione Varoli, verrà inaugurata una seconda mostra temporanea che raccoglie altre opere di allievi del maestro cotignolese appartenenti alle collezioni comunali, tra cui dipinti di Gaetano Giangrandi, Giulio Ruffini, Fioravante Gordini e Aristodemo Liverani, a sottolineare ulteriormente l’importante e vitale stagione del cenacolo varoliano quando, intorno alla carismatica figura del “E Prufesor”, nella sua casa e studio, e alla locale Scuola Arti e Mestieri, si sono formati, a cavallo dell’ultimo conflitto mondiale, molti degli artisti più importanti della bassa Romagna.

Le mostre saranno visibili nelle giornate di apertura del museo:
il venerdì dalle 16.30 alle 18.30,
il sabato e la domenica dalle 10 alle 12 e dalle 15.30 alle 18.30

contatti: 0545 980 879 /  320  43 64 316
fabbrim@comune.cotignola.ra.it

 

Le ragioni del cuore

La mostra del 1995 al Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo “Novecento. Artisti nei dintorni ravennati”, curata da Orlando Piraccini e da me, si proponeva una ricognizione, come premessa per ulteriori approfondimenti, degli artisti che nel panorama artistico locale nel corso del XX secolo avessero lasciato una traccia significativa. Giovanni Savini è presente con dipinto di fiori, registrato s.d., riconducibile agli anni del dopoguerra per il vaso utilizzato, un bossolo di proiettile di cannone, residuato bellico. Nel catalogo per la parte biografica pochi dati: Giovanni Savini. Cotignola 1908 – Roma 1995. Pittore e incisore. Tutto qui. D’altra parte il suo nome non compare nell’ampio saggio di Marcello Azzolini Le arti figurative a Ravenna in “Ravenna, una Capitale”. Bologna. Edizioni Alfa del 1965. In questo scritto Luigi Varoli compare come una figura da cui non è possibile prescindere per comprendere la situazione artistica nel territorio ravennate, sia come artista che come “allevatore” di una schiera di giovani che sono poi stati i protagonisti della vicenda artistica del secondo dopoguerra nella Romagna ravennate. Un dato biografico comunque è certo: “Giannetto” come veniva chiamato Savini, è stato allievo e si è formato alla scuola di Disegno, poi di Arti e Mestieri, di Cotignola, diretta da Luigi Varoli, tra l’altro risiedeva con la famiglia in via Rossini, praticamente a due passi dallo studio di Varoli. Degli studi successivi prima di arrivare al Poligrafico di Stato a Roma non si hanno notizie. Si può supporre, come per altri allievi di Varoli, che abbia proseguito gli studi a Bologna all’Accademia di Belle Arti negli anni in cui svolgeva l’attività di insegnamento Giorgio Morandi. Ma ciò che mi pare significativo, se non decisivo, per la sua formazione è il rapporto con Varoli, il quale, attenendosi alla lezione di Vasari, riteneva che il disegno fosse la “madre” di tutte le arti, pratica che oltre ad una predisposizione naturale richiedeva un esercizio costante, indispensabile per la pittura di figura. Credo che questa pratica sia stata determinante per la sua professione futura e per questo si può associare a Sante Ghinassi di Castel Bolognese, un altro dei tanti allievi di Varoli, il più raffinato disegnatore. Varoli aveva una visione totale dell’arte e del mestiere dell’artista, rifiutava il dilettantismo a scapito dell’impegno, riteneva che si potessero, o forse si dovessero, utilizzare e sperimentare altri linguaggi oltre alla pittura, dalla ceramica alla plastica fino alla cartapesta. Inoltre, per comprendere l’“uomo-Savini” non si può prescindere dal rapporto affettivo ed etico nel momento della formazione con il “professore” per quell’aspetto umano, severamente paterno, riconosciuto da tutti coloro che hanno seguito il suo insegnamento, primi fra tutti, Umberto Folli, Giulio Ruffini e Gaetano Giangrandi, rimasti in Romagna, mentre Olga Settembrini emigrava in America latina dove avrebbe fondato un’Accademia sul modello della scuola di Varoli. Giovanni Savini si trasferisce a Roma nel 1936 e l’anno successivo sposa Emilia Garavini a Cotignola, dove peraltro farà spesso ritorno. A Roma lavora come incisore e disegnatore ma non abbandona il mestiere dell’artista. Dipinge e usa la creta per produrre statuette e piccoli busti, forse modelli da realizzare in formato di maggiori dimensioni. Come per Varoli che non era stato conquistato negli anni Venti dalle Avanguardie, pur avendo avuto rapporti tramite Francesco Balilla Pratella con gli ambienti del secondo futurismo, ne è la prova la dedica di Fortunato Depero nello storico “Libro Imbullonato” Dinamo-Azari, ora nel Museo di Palazzo Sforza a Cotignola, Savini pare insensibile a quanto avveniva o era avvenuto nella Capitale, dalla Scuola Romana di Mafai e Scipione degli anni Trenta, alle aperture dei cosiddetti poppartisti del Caffè Rosati di Piazza del Popolo all’arte americana negli anni Sessanta. Rimane indifferente, non lo interessano queste novità, conserva uno stretto legame con la tradizione, che si traduce nella poetica dei sentimenti, delle emozioni non gridate, delle piccole cose. Per lui è sempre vivo il richiamo della “provincia”, quando ormai non può più considerarsi un provinciale. La “provincia”, ovvero le ragioni del cuore, significa il recupero e allo stesso tempo un mantenersi fedele, senza tentazioni o tradimenti, ai valori della prima formazione, alla verità degli affetti, alla verità semplice e naturale che si rivela nell’espressione dei volti dei tanti personaggi ritratti, in sintonia con la cultura accademica di derivazione tardottocentesca, rivisitata e aggiornata, indissolubilmente legata per quell’aspetto del non finito, o meglio lasciato volutamente in sospeso, proprio della pittura di Varoli.

Aldo Savini