Lettera del Prof. Marco Oppenheim inviata da Bologna all’Amministrazione comunale il 1° marzo 1965 (pubblicata nel quaderno di documenti, scritti e testimonianze, realizzato dal Comune di Cotignola nel 1980 in occasione del XXXV anniversario della Liberazione di Cotignola)

Al Comitato Storico per la Celebrazione del 20° Anniversario della Liberazione di Cotignola.

Nella ricorrenza del 20° anniversario della liberazione di Cotignola mi è grato ricordare l’opera coraggiosa e umanitaria svolta da Vittorio Zanzi di Cotignola per aiutarci a sfuggire alle persecuzioni razziali, consentendoci, mercé la sua costante protezione ad evitarne le conseguenze più terribili.

A 20 anni di distanza conserviamo immutato il ricordo dei benefici ricevuti ed il sentimento della nostra perenne riconoscenza.

Marco Oppenheim

Fra l’autunno del 1943 e la primavera del 1945, in questa canonica, fu ospitato il medico ebreo Marco Oppenheim insieme alla sua famiglia composta dalla moglie Silvia Schwarz, dalla madre di lei Luigia, e dalla loro figlia Lea di sette anni, che giunsero a Cotignola dopo innumerevoli traversie.

Marco Oppenheim aveva studiato a Bologna dove si era laureato in radiologia; dopo un’altra specializzazione in medicina interna a Milano, nel marzo del 1938 diventa assistente universitario presso la Clinica Medica di Bologna; con la promulgazione delle leggi razziali fasciste è espulso dall’Università e cancellato dall’albo dei medici. Ripara con la famiglia a Parigi dove lavora come ricercatore presso diversi centri, la moglie come sarta, e, dopo avere evitato rocambolescamente la deportazione nel 1943, rientra con la sua famiglia in Italia.

La data dell’Armistizio dell’8 settembre li vede cercare tregua in Friuli da cui sono costretti a fuggire ancora una volta, in seguito a una delazione, ritornando a Bologna che, subito il pesante bombardamento del 25 settembre, si dimostra una città insicura. Cosi, nella prima decade di ottobre, giungono infine a Cotignola, dove è già rifugiata, con la tutta la sua famiglia, Anna Macchioro, parente di Silvia e moglie dell’etnologo Ernesto De Martino.

Il Commissario prefettizio di Cotignola, Vittorio Zanzi, artefice e animatore di una rete di solidarietà e accoglienza clandestina, capace di salvare la vita a numerose famiglie di ebrei, così come di offrire indifferentemente a tutti i perseguitati, assistenza, ospitalità e solidale amicizia – grazie a un’impeccabile organizzazione che ha visto coinvolti tutti gli strati amministrativi, sociali e religiosi del capoluogo e del suo territorio – sistema in un primo tempo la famiglia Oppenheim presso un’abitazione alla periferia di Cotignola, ma tale collocazione non presenta sufficienti garanzie di sicurezza, e così vengono indirizzati al parroco di Budrio di Cotignola, don Antonio Costa, che accoglie i nuovi arrivati mettendosi a disposizione e fornendo loro ogni possibile aiuto.

Marco Oppenheim è rimasto qui, con la moglie Silvia e la figlia Lea, fino alla Liberazione del 10 aprile 1945 e la sua opera di medico si è rivelata fondamentale per le frazioni di Budrio e Barbiano, soprattutto dopo la fuga del medico condotto che, non resistendo all’ossessionante atmosfera di morte dovuta all’attestarsi sul fiume Senio del fronte di guerra (novembre 1944), con le strade e le case a ridosso della prima linea che vengono sottoposte quotidianamente al martellamento delle artiglierie e alle incursioni aeree dei bombardieri, abbandona le località a lui affidate e sfolla nelle retrovie.

Rifiutando i nuovi documenti di identità, forniti da Zanzi grazie alla complicità di fedeli dipendenti dell’anagrafe, il prof. Oppenheim affida la sua incolumità a una semplice fascia bianca, sormontata da una croce rossa, assicurata alla manica della giacca. L’espediente adottato si rivela azzeccato; egli percorre in bicicletta le strade di Budrio e Barbiano, visitando feriti e ammalati, sia italiani sia tedeschi, con una disponibilità e generosità che lo portano a prodigarsi incessantemente nell’assistenza, senza mai richiedere alcun compenso e rischiando in più occasioni la propria vita. Una missione umanitaria la sua, così come quella della moglie Silvia, staffetta partigiana, che ne fa al tempo stesso un “salvato” e “salvatore”.

(Testo liberamente tratto da Michele Bassi Cotignola: un approdo di salvezza per gli ebrei e per i perseguitati politici durante la guerra)

Nel 2002 Vittorio Zanzi e Serafina Bedeschi, Luigi Varoli e Anna Cortesi sono stati insigniti dallo stato di Israele del titolo di “Giusti tra le Nazioni” e i loro nomi compaiono nel memoriale del Yad Vashem a Gerusalemme