James Kalinda | Via Pascoli, Cotignola, 2016
Il muro dipinto da James Kalinda raffigura Giacomo Attendolo (Cotignola 1369–Pescara 1424) soprannominato Muzio, detto poi Sforza. Muzio Attendolo Sforza è stato un condottiero e capitano di ventura; conte di Cotignola e capostipite degli Sforza, una delle famiglie più importanti del rinascimento italiano, signori di Milano e Pesaro.
L’origine degli Sforza è perciò contadina, di certo non aristocratica; con un’azzeccata e spregiudicata strategia combinata di guerre e matrimoni, l’ascesa del casato cotignolese al potere è rapidissima e vertiginosa: già Francesco Sforza (1401–1466) figlio maggiore e illegittimo di Muzio Attendolo Sforza, anch’egli condottiero come il padre, è duca di Milano grazie al suo matrimonio con Bianca Maria Visconti.
Il dipinto dello street artist Kalinda, così come quello di Signora K, a questa origine, dinastia e progenie è dedicato, ed efficacemente cerca di condensare in una singola immagine questa storia carica di significati, simboli e ramificazioni che espandono gli Sforza in tutta l’Europa.
Impostato con una simmetria e centralità che ricorda la struttura araldica, è costruito come una sorta di semplice rebus o anagramma in cui cui compaiono una serie di indizi riconducibili alla figura di Muzio e più in generale al dominio degli Attendoli-Sforza su Cotignola, stemma compreso.
E dallo stemma partiamo, stemma che raffigura ancora oggi un leone rampante che regge un ramo adorno di mela cotogna, il simbolo di Cotignola; e nel dipinto il cranio alla base è proprio quello di un leone e i rami in fiore sono quelli del cotogno.
Si narra un po’ prosaicamente che una sera del 1382 il giovane Giacomo, mentre stava zappando un campo, vide passare dei soldati della compagnia di Boldrino da Panicale alla ricerca di nuove leve: attratto dall’idea scagliò la zappa in alto, se essa fosse tornata a terra sarebbe rimasto, se si fosse impigliata in un albero avrebbe seguito la compagnia. La zappa si incastrò su una quercia e non cadde a terra. Giacomo rubò un cavallo al padre e seguì i soldati… Ecco spiegate le zappe (minacciosamente, o forse ironicamente, incrociate come armi) e la fogliolina di quercia che, sospesa, sovrasta lievemente il dipinto.
Infine il volto di profilo di Muzio, cuore e centro del dipinto ovviamente, ripreso dalla Lunetta di Bernardino Luini, oggi conservata nel Museo d’arte antica del Castello Sforzesco di Milano. Profilo che non concede nulla alla psicologia del personaggio, un guerriero e mercenario (il mestiere delle armi) che giunge a noi dal passato, ferito, eroico e mutilato come lo sono le statue classiche, spesso sbrecciate e amputate dal tempo. Ma il significato può essere anche un altro, perché a Cotignola, guerre ben più vicine a noi, hanno lasciato tragiche ferite e cicatrici, come si può ben vedere nella parziale ricostruzione e incompletezza dello stemma sforzesco in terracotta collocato sopra il portone d’ingresso di Palazzo Sforza o negli interni sbrecciati e crivellati della Chiesa del Suffragio. Allora forse le ferite inferte al volto di Muzio non sono solo le ombre scure proiettate dal suo elmo o i colpi delle molte battaglie, ma anche – e al fiume Senio il suo sguardo è rivolto – una memoria o presagio che in una specie di cortocircuito protende lo sguardo in avanti ai giorni del fronte.
James Kalinda vive sui monti dell’Appennino reggiano. È un tatuatore. Dipinge con ogni tecnica su tele e muri, spesso con il fucsia e il nero. Firma i suoi disegni con un fumetto nero. Mette al centro delle sue rappresentazioni gli esseri umani mentre la desolazione dei luoghi abbandonati, come case e fabbricati, è il paesaggio tipico di cui si nutre la sua creatività. Il suo lavoro ha un forte legame anche con la natura e le sue deformazioni. I temi ricorrenti nei suoi lavori sono la vita e la morte